Spazio: geopolitica, economia e difesa.

Il 4 ottobre 1957, con il lancio dello Sputnik ad opera dell’Unione Sovietica, abbiamo cominciato a guardare allo spazio con occhio nuovo. Ciò che fino ad allora era immaginato come incontrastato ambito del divino diventò improvvisamente più umano. I terrestri, per scopi terrestri, avevano iniziato una competizione che non era solo scientifica ma anche (o soprattutto?) geopolitica ed economica. Una gara che il 12 aprile 1961 vide il primo volo orbitale umano il cui protagonista, il russo Yurij Gagarin, spostò il paletto dei record un po’ più in là. Ciò portò nello spazio quell’accesa rivalità che sulla Terra stava dando vita alla Guerra Fredda. La risposta statunitense giunse il 21 luglio 1969, quando un ex-pilota della U.S. Navy, Neil Alden Armstrong, fece i primi passi sulla Luna. Si trattava, come ha detto il protagonista di quell’epico evento, di “…un piccolo passo per l’uomo ma di un gigantesco balzo per l’umanità…”. Per la prima volta un umano era arrivato su un altro corpo celeste. Ma la storia ci insegna che, al di là della curiosità scientifica, l’esplorazione e la colonizzazione sono sempre state accompagnate dalla militarizzazione e dallo sfruttamento economico dei territori conquistati. E la nuova frontiera extra-atmosferica non sfugge a questa regola. La Luna, per esempio, sta tornando prepotentemente all’attenzione degli addetti ai lavori non solo per le sue vere o presunte risorse naturali e materie prime, ma anche quale elemento fondamentale per il controllo del nostro pianeta e trampolino di lancio verso il cosmo. La competizione per assicurarsi il dominio dello spazio è, quindi, ripartita sottolineandone la valenza scientifica ma anche le implicazioni economiche, geopolitiche e securitarie.

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Implicazioni economiche.
Le tecnologie spaziali, pur essendo intrinsecamente dual-use, sono strettamente legate all’industria della difesa. Lo spazio, quindi, non è rilevante solo sotto il profilo securitario e geopolitico, ma riveste anche una crescente e significativa importanza economica. Lo hanno ben compreso Francia e Germania, con la prima che “lucra” economicamente e politicamente con la base di lancio di Kourou, nella Guyana francese, messa a disposizione per le attività dell’ESA, la cui sede è peraltro a Parigi, e la seconda che ha acquisito potere contrattuale sulla materia con l’European Space Operations Centre (ESOC) di Darmstadt, dal quale segue e controlla i satelliti europei in orbita. Per sottolineare le opportunità economiche correlate allo spazio sono chiarificatrici le cifre associate alle prossime attività spaziali europee, così come individuate dal Council Meeting at Ministerial Level (MC22) dell’European Space Agency (ESA), tenutosi a Parigi nei giorni 22 e 23 novembre 2022. I fondi complessivamente disponibili per le attività dell’ESA per i prossimi cinque anni sono pari a 16,9 miliardi di USD, e saranno così suddivisi:

  • 3,19 miliardi per il programma scientifico (pari al 19% del totale);
  • 2,8 miliardi per il trasporto spaziale (17%);
  • 2,7 miliardi per l’osservazione della Terra (16%);
  • 2,7 miliardi per l’esplorazione umana e robotica (16%);
  • 1,9 miliardi per le telecomunicazioni e applicazioni integrate (11%);
  • 1,6 miliardi per le attività di base (10%);
  • 731 milioni per la sicurezza spaziale (4%);
  • 542 milioni per la tecnologia (3%);
  • 351 milioni per la navigazione (2%);
  • 118 milioni per la commercializzazione (1%);
  • 237 milioni per PRODEX , il PROgramme de Développement d’Expériences scientifiques (1%).

Oggi la geografia dello spazio somiglia sempre più a un’estensione di quella terrestre, sottraendo romanticismo al cosmo, ma consentendo di catalizzare enormi finanziamenti, indispensabili per l’esplorazione. È sempre stato così, la conoscenza aumenta se ha fondi a sufficienza per finanziare la ricerca e l’esplorazione. Ma non sono soldi buttati. Bisogna, infatti, comprendere che investire nello spazio significa anche migliorare la nostra vita sulla Terra. Dalle esperienze in condizioni di microgravità, per esempio, sono derivate innovazioni in campo medico come cure per l’osteoporosi o protesi per disabili, ma anche novità che hanno migliorato la vita quotidiana, come la protezione contro i raggi UV e il “memory foam”, creato dalla NASA negli anni ’70 “…per attutire il decollo e per supportare gli astronauti durante i viaggi spaziali…”. In tale ambito vanno sottolineate le opportunità tecnologiche ed economiche offerte all’Italia dalle questioni spaziali in generale e dall’autonomia spaziale in particolare. L’argomento è molto importante sia in chiave industriale che sotto il profilo della proiezione di immagine internazionale del nostro paese che, in definitiva, significa maggiore potere contrattuale sul mercato. La qualificata partecipazione a iniziative multinazionali o, meglio, l’accesso diretto allo spazio da parte del nostro paese avrebbe indubbia valenza strategica e geopolitica nello scenario internazionale e consentirebbe una serie di ricadute dirette e indirette per le aziende del settore e per i territori di appartenenza. Ricadute di tipo diretto per il comparto coinvolto, per esempio, nella costruzione dei lanciatori e di tipo indiretto per la filiera che realizza le infrastrutture spaziali (upstream) e le operazioni connesse al lancio. La filiera nazionale, come è noto, grazie alle competenze sviluppate negli anni è in grado di sviluppare e realizzare tutte le principali componenti del settore spaziale che includono i lanciatori, la realizzazione dei satelliti completi e relativi payloads, la gestione dei satelliti in orbita e la fornitura dei servizi correlati (downstream). Le aziende impegnate nella costruzione dei vettori, potranno quindi trovare nella partecipazione a importanti iniziative multilaterali un impulso alle loro attività di commercializzazione fornendo un servizio completo a prezzi competitivi. Da non trascurare anche la ricaduta sulle aziende che stanno già realizzando i dispenser per il lancio multiplo di piccoli satelliti che, con l’avvento di decine di nuove costellazioni (ne sono finanziate più di 150 a livello mondiale con la previsione di oltre 37.000 satelliti da lanciare), costituiscono il principale trend del futuro. Alcune start up nazionali si stanno, inoltre, specializzando nella vendita di servizi di lancio, rivendendo, soprattutto ai clienti che hanno piccoli volumi (quali gli enti scientifici e le Università, oppure altre start up del settore), opportunità di lancio congiunte su vettori internazionali. Anche per loro la disponibilità di un eventuale sistema autonomo italiano potrebbe aumentare l’offerta e allargare il portafoglio clienti. Per i costruttori di satelliti, questa opportunità costituirà la disponibilità di maggiore offerta di servizi di lancio che, promettendo di avvenire dal territorio nazionale, semplificherà anche le procedure di esportazione e auspicabilmente una riduzione del costo dei servizi di lancio. Per comprendere cosa c’è in gioco basti pensare, per esempio, che la costellazione italiana di osservazione della terra “IRIDE”, finanziata con i fondi del PNRR, in mancanza di un’idonea e autonoma piattaforma di lancio nazionale, dovrà essere lanciata dall’estero portando risorse economiche all’indotto dei paesi ospitanti (nel caso specifico alla Francia, che gestisce la base di Kourou in Guyana). I primi contratti tra l’ESA e le industrie Argotec e OHB Italia, per lo sviluppo di due componenti della costellazione “IRIDE”, sono stati firmati lo scorso 3 dicembre 2022 alla Fiera di Roma, durante l’annuale appuntamento denominato New Space Economy European Expoforum. Da non dimenticare anche la ricaduta per le aziende che si occupano delle operazioni di comando e controllo durante le fasi di lancio e di commissioning. Il nostro paese è l’unico paese UE, insieme alla Francia, ad avere competenze avanzate in tutta la filiera spaziale, dai lanciatori, ai satelliti, agli strumenti scientifici, al controllo delle operazioni, al trattamento dati. Sia noi che la Francia potremmo, quindi, avere un ruolo da protagonista. Tuttavia, la nota volontà egemonica francese e il tentativo di proporsi come unico interlocutore europeo nel settore fanno sì che Parigi sia anche il principale competitor dell’Italia in questo campo.

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Implicazioni geopolitiche.
Le questioni economiche sono solo una delle (forti) ragioni che hanno permesso di riprendere i programmi correlati all’esplorazione spaziale e al ritorno dell’uomo sul nostro satellite. Una volta colonizzata, infatti, esattamente come fecero i primi navigatori spostandosi di isola in isola verso l’orizzonte e l’ignoto, la Luna potrà servire come trampolino di lancio per navigare nello spazio verso i confini del sistema solare e oltre, portando certamente ad estendere la frontiera della conoscenza, con importanti implicazioni geopolitiche. In tale ambito, il già citato MC22 ha ribadito che tra le priorità dello Spazio europeo ci sono l’accesso indipendente alle orbite e la sicurezza delle comunicazioni e della navigazione, due argomenti delicatissimi che hanno importanti ricadute geopolitiche e securitarie. Il posizionamento delle principali potenze nella nuova dimensione costituisce, infatti, una proiezione di potenza che ha lo scopo di amplificare il loro ruolo sulla Terra. Non è un caso se anche i paesi asiatici tecnologicamente più avanzati si stanno dando molto da fare per acquisire una posizione nella gerarchia spaziale. Le cronache di questi giorni ci dicono, per esempio, che anche l’India, ha raggiunto ottimi livelli nel settore. Questo grande paese, che ha avuto pieno successo laddove la Russia ha recentemente fallito (allunaggio al Polo Sud lunare), con l’allunaggio della sonda Chandrayaan-3 ha coronato quattro anni di intensi sforzi per rimediare ai problemi avuti con la sonda precedente. Ciò rende più “asiatico” lo spazio, che vede in corsa anche il Giappone, con la sonda Slim e la Cina, che l’anno prossimo spedirà Chang’è-6 sulla Luna. L’esplorazione dello spazio, tuttavia, potrebbe anche essere il nuovo campo entro il quale sperimentare nuove forme di cooperazione internazionale, non avvelenate da meschini interessi di potere. Già oggi, infatti, nonostante la forte e preoccupante instabilità geopolitica sul nostro pianeta, ai cosmonauti è internazionalmente riconosciuto lo status di ambasciatori di tutta l’umanità. Un riconoscimento apparentemente simbolico “…che si spiega in ragione dell’obbligo di condivisione universale dei risultati delle missioni che sono chiamati a compiere…” e che permette loro di essere protetti nel caso la situazione geopolitica muti in maniera rilevante durante la loro permanenza nello spazio. È stato il caso, per esempio, della guerra di aggressione scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Mosca partecipa al programma che interessa la Stazione Spaziale Internazionale (SSI) e dai suoi tecnici dipende la correzione dell’orbita del nostro (per ora) più lontano avamposto umano nello spazio. Anche a seguito dei duri comunicati da parte della Roscosmos, il timore era che decenni di collaborazione internazionale fossero arrivati al capolinea, con tutte le conseguenze del caso, come il rientro incontrollato della SSI nell’atmosfera e la sua distruzione al suolo. Invece, il deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Russia e USA non ha intaccato il livello di cooperazione a quell’altezza, permettendo all’astronauta statunitense, giunto al termine del suo periodo a bordo della SSI, di rientrare serenamente e in sicurezza con la Soyuz russa, come precedentemente pianificato. Allo speciale status dei cosmonauti si aggiunge l’Accordo sul salvataggio che, entrato in vigore il 3 dicembre 1968, riflette in buona parte il diritto umanitario e la disciplina delle acque internazionali, estesi allo spazio “…per similitudine e identità di presupposti…”. Quando guardavamo ammirati i telefilm della serie “Star Trek”, sognavamo che un giorno l’umanità potesse esplorare l’universo. Da ragazzi ritenevamo che l’esplorazione scientifica fosse l’unico motore che ci spingeva verso l’ignoto. Oggi sappiamo che l’esplorazione scientifica è una forte molla, che tuttavia ha bisogno di enormi finanziamenti per progredire. La spinta aggiuntiva viene fornita, appunto, dagli interessi economici e dalle esigenze di sicurezza. Per progredire nella conoscenza servono, infatti, enormi investimenti che ben pochi paesi possono affrontare da soli. Ben vengano, quindi, le iniziative politiche europee che permettono al Vecchio Continente di navigare nell’immenso oceano dell’universo, consentendo di cementare vecchie alleanze, di formarne di nuove e contribuendo alle conoscenze ma anche alla sicurezza di tutti noi.

La militarizzazione dello spazio.
La consapevolezza dell’importanza dello spazio per gli aspetti di sicurezza e difesa è andata crescendo nel tempo, parallelamente ai progressi tecnologici ottenuti nel campo della missilistica e dell’elettronica. Ciò mette a confronto interessi spesso non coincidenti e tali che anche in ambito Nazioni Unite si fa un’enorme fatica per portare avanti la discussione in ambito COPUOS (Committee on the Peaceful Uses of Outer Space – comitato delle Nazioni Unite per l’uso pacifico dello Spazio extra-atmosferico). Gli interessi di sicurezza in gioco sono enormi. Oggi lo spazio riveste, infatti, un ruolo fondamentale per l’osservazione del globo terrestre, le telecomunicazioni, i servizi di posizionamento, navigazione e tempistica o per l’intercettazione dei segnali elettromagnetici per attività intelligence. La militarizzazione dello spazio sta, quindi, procedendo per successivi livelli il primo dei quali è rappresentato da quella linea di Kàrmàn, convenzionalmente posta a 100 km sul livello del mare, che segna il confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno. Un confine che i missili ipersonici impiegano per raggiungere la loro velocità massima e mettere in difficoltà i sistemi di difesa avversari. Salendo in quota assistiamo a una sempre più affollata e competitiva orbita bassa, che si sta riempiendo di satelliti per la raccolta di informazioni, la sorveglianza e le telecomunicazioni, rendendo la fascia intorno ai 2.000 km di quota molto simile al traffico dell’ora di punta nel centro di una megalopoli. In tale fascia di quota si stanno rivelando sempre più efficaci le attività anti-satellite come le interferenze da parte di altri satelliti e le operazioni ostili cibernetiche gestite da appositi centri a terra. Si stanno, inoltre, sviluppando sempre più spinte capacità di distruzione di satelliti condotte da terra, al momento impiegate per la distruzione di propri satelliti obsoleti o esausti, ma potenzialmente in grado di colpire i satelliti avversari. E qui sorge un altro problema, che potenzialmente interessa tutti. I satelliti finora distrutti da cinesi, russi e indiani hanno, infatti, prodotto migliaia di frammenti che si aggiungono ai rottami vaganti e mettono in pericolo le altre strumentazioni orbitanti, diventate ormai fondamentali in moltissimi settori, e ciò contribuisce a rendere tutto il traffico locale ancora più caotico. Secondo alcune previsioni questa fascia di quota potrebbe un giorno essere talmente piena di satelliti e detriti da accrescere il pericolo di collisioni e di rientro incontrollato dei rottami in atmosfera, oltre che rappresentare un vero e proprio muro, in grado di rendere estremamente difficoltoso (o anche impossibile) il passaggio verso quote più alte e verso lo spazio. Una sorta di carcerazione autoinflitta. Un po’ più in quota si arriva nel congestionato “regno” del geostazionario, ovvero dove trovano sistemazione i satelliti (prevalentemente per intelligence e telecomunicazioni) che mantengono fissa la loro posizione sopra l’equatore. A 36.000 km di quota ciò permette di “illuminare” circa il 50% della superficie terrestre. Una quota talmente ambita che alcuni paesi della fascia equatoriale nel 1976 si sono autodichiarati proprietari di quella fascia di spazio “…in quanto Stati equatoriali della porzione di orbita geostazionaria su cui il loro territorio si proietta verticalmente…”. Inutile dire che tali avventurose rivendicazioni non hanno avuto alcun riconoscimento internazionale. Si arriva poi alla Luna, sempre più oggetto del desiderio di USA, Cina e oggi anche India, con la Russia che vorrebbe tornare a giocare un ruolo rilevante su quello scacchiere. Come detto, il nostro satellite rappresenta sia una piattaforma strategica per gestire gli equilibri (e il primato) sulla Terra sia un naturale trampolino di lancio verso nuovi obiettivi (leggi Marte, per ora). Da parte sua, la NATO ha ufficialmente riconosciuto lo spazio come quinto dominio strategico-operativo, affiancandolo a quelli terrestre, marittimo, aereo e cyber. Ciò comporta la possibilità di attivare la clausola di difesa collettiva, prevista dall’articolo 5 del Trattato, anche in caso di attacchi verso, da o all’interno dello spazio. Dal 2019 la NATO ha, inoltre, adottato una specifica Space policy, il cui approccio mira a considerare lo spazio tra gli interessi fondamentali dell’Alleanza e quasi tutti i suoi membri si sono dotati di organismi militari dedicati alla gestione del settore. In estrema sintesi, la futura egemonia planetaria si giocherà anche nello spazio, e ciò induce a una crescente militarizzazione oltre l’atmosfera, con tentativi di appropriarsi di nuove zone di influenza. Il dominio spazio, con la costante crescita della sua importanza per i settori della difesa e della sicurezza, rappresenta una sfida non solo per l’ordine mondiale, ma anche per la nostra difesa nazionale, tant’è che il 7 luglio 2022 il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica ha approvato la “Relazione sul dominio aerospaziale, quale nuova frontiera della competizione geopolitica”. In tale ambito, la Strategia nazionale di sicurezza per lo Spazio mette insieme gli indirizzi del Governo e del “Documento strategico spaziale” ed è mirata al potenziamento delle capacità di protezione delle infrastrutture nazionali e all’acquisizione di capacità di prevenzione, dissuasione e difesa. L’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, partecipa alle sedute del “Comitato interministeriale per le politiche relative allo Spazio e all’Aerospazio” (COMINT), fornisce il supporto tecnico-scientifico sia al presidente del Consiglio dei ministri (o al suo delegato) che al COMINT.

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Conclusioni.
Come abbiamo visto, sulle questioni spaziali si sta giocando una partita geopolitica importante che non mancherà di avere effetti su molti aspetti fondamentali di interesse del nostro paese. A partire dagli aspetti tecnologico ed economico. É ormai certo che il settore spaziale sarà fonte di crescita economica, se si potrà disporre delle indispensabili tecnologie e autonomia per portare i satelliti in orbita. Come afferma l’ing. Gian Carlo Poddighe, del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CESMAR), …lo spazio è un “mercato” dal quale il nostro paese non dovrebbe essere assente. L’accesso allo spazio e ai servizi che ne derivano è, infatti, indispensabile e vitale non solo per la crescita ma anche per la semplice sopravvivenza. Non va inteso come un previlegio, o una riserva di settore, ma come un’opportunità che andrebbe colta e sfruttata dal “sistema paese” in termini di un’oculata valutazione costi/benefici, soprattutto “costo e ritorni per l’utente”… È, quindi, indispensabile fare gioco di squadra e proporsi rapidamente ed efficacemente su questo particolare “mercato”. L’unione fa la forza. Soprattutto in un paese come il nostro che, pur avendo le competenze tecnico-scientifiche, infrastrutturali e operative, è troppo spesso frammentato da gretti individualismi e campanilismi. Essere tra i pochissimi paesi ad avere la capacità di posizionare satelliti in orbita, per esempio, permetterebbe di attrarre anche l’attenzione di coloro che sono interessati all’attività spaziale per mero interesse economico e di tutti coloro che si interessano di space economy e che hanno sempre maggior bisogno di dati per far funzionare efficientemente il loro sistema economico e quello mondiale. A ciò si aggiungerebbero anche le possibilità di impiego per il personale italiano coinvolto nel progetto nazionale, come carriera e/o sbocco post carriera sia presso l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) sia presso l’European Space Research Organization (ESRO). Bisognerà vedere se attorno a questo settore si riuscirà a costruire un consenso politico che permetta all’Italia di “scendere in campo”. C’è poi la questione del prestigio nazionale. Se non si sarà autorevolmente presenti il nostro potere contrattuale internazionale sarà drasticamente ridimensionato, con tutte le intuibili implicazioni tecnologiche ed economiche, geopolitiche e securitarie. Come ho più volte sottolineato nel corso dei miei precedenti articoli, stiamo attraversando un periodo storico caratterizzato da un’intensa competizione per assicurarsi le materie prime e le risorse energetiche indispensabili per il benessere nazionale. La politica non deve, quindi, voltarsi da un’altra parte sperando che la questione si risolva da sola. Le relazioni internazionali non funzionano in questo modo. L’Italia è, al momento, il principale contributore netto dell’ESA, in quanto spende ogni anno una cifra considerevole per … non avere alcun sostanziale ritorno economico né politico. Nei prossimi cinque anni l’Italia riceverà dall’ESA 3,083 miliardi (contro i 2,2 miliardi del 2019 = +40%), che equivalgono al 18,24% del budget totale. Tuttavia, nello stesso periodo, spenderà oltre 7 miliardi (prevalentemente versati alla Francia) per servizi spaziali (lanci da Kourou, ecc…). Una partecipazione in perdita che prosegue lo stesso insoddisfacente percorso di dipendenza finora seguito. L’Italia non si può permettere di rimanere emarginata da questo settore e non si può permettere, con tutto il peso delle proprie competenze, di pagare per ottenere servizi che potrebbe essere invece in grado di offrire agli altri. C’è, infine, l’aspetto politico-militare. La politica estera ha un prezioso strumento che le consente di assumere impegni di valenza internazionale: lo strumento militare. Esso non deve essere, infatti, inteso “solo” come elemento indispensabile per assicurare l’indipendenza democratica del nostro paese, ma anche come deterrente contro chiunque desiderasse impedire il raggiungimento dei legittimi interessi nazionali, ovunque essi siano. Tenuto conto della nostra indiscutibile dipendenza economica dal mare, che è indispensabile per il nostro benessere e crescita economica, e per la sua naturale capacità expeditionary e di proiezione in luoghi lontani dal territorio nazionale, la dimensione marittima dello strumento militare italiano è particolarmente sensibile alle opportunità offerte dall’autonomia spaziale, come dimostrato dalle straordinarie esperienze degli anni ’50-‘60. Come detto, l’Italia già oggi ha tutte le competenze tecnologiche e professionali per ottenere l’autonomia spaziale ad eccezione di un proprio sito di lancio. Questa capacità potrebbe essere costituita da una propria piattaforma navale (militare o civile) che permettesse di lanciare propri vettori in autonomia, in acque internazionali e a qualunque latitudine. Una capacità strategica ed economica che farebbe del nostro paese un punto di riferimento e permetterebbe di offrire ad altri importanti servizi nel settore. In tale ambito la nostra autorevole presenza nel settore spaziale potrebbe fornire anche ulteriori elementi di forza per accrescere l’efficacia operativa dello strumento militare complessivo. Il raggiungimento dell’autonomia spaziale (dalla progettazione alla costruzione al lancio) accrescerebbe il prestigio politico del nostro paese, contribuirebbe ad aumentare la sicurezza nazionale e potrebbe anche diventare “vettore” strategico di importanti ricadute economiche e tecnologiche, che genererebbero un importante reddito da esportazione di servizi ormai diventati indispensabili e che porterebbero benefici strategici a tutto il settore industriale di elevata tecnologia, al settore marittimo e a quello delle telecomunicazioni, ma anche a tutto il comparto Difesa, evitando significativi esborsi all’estero per l’acquisto degli stessi servizi. A similitudine di quanto avvenuto nella prima metà del XX secolo, dove lo status di potenza coloniale era condizione essenziale per poter svolgere una politica estera attiva, nel prossimo futuro l’autonomia spaziale potrebbe diventare un requisito indispensabile per accedere a una capacità effettiva nel campo della politica estera. Si tratta di una delle principali sfide che oggi dobbiamo affrontare, dalla quale con ogni probabilità dipenderà il futuro ruolo geopolitico ed economico dell’Italia. Il dominio aerospaziale è, oramai, chiaramente la frontiera sulla quale si sta già svolgendo e si svolgerà la competizione in ambito scientifico, tecnologico, economico, geopolitico e militare a livello globale. Una competizione alla quale l’Italia deve partecipare con tutta la forza della sua comprovata competenza ed esperienza in materia. In considerazione dei servizi erogati attraverso le infrastrutture spaziali, questo dominio vedrà costantemente crescere il suo ruolo nel contesto della tutela della difesa e della sicurezza delle Nazioni. Sta, quindi, ai nostri politici interpretare correttamente questo momento storico e approfittare di questa enorme capacità del paese, prendendo le dichiarazioni di intento rilasciate in campagna elettorale e traducendole in azioni concrete, in modo da permettere a tutti gli stakeholders italiani di tutelare efficacemente gli interessi e il prestigio nazionale.

Fonte ed altri riferimenti presso: https://www.difesaonline.it/mondo-militare/spazio-geopolitica-economia-e-difesa

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