Nuove infrastrutture cinesi per favorire la riunificazione con Taiwan.

Presto o tardi, in un modo o nell’altro, la Cina ha intenzione di riannettere a tutti gli effetti la “provincia ribelle” di Taiwan al proprio territorio. L’intenzione cinese, a detta degli esperti, sarebbe chiara. Pechino farebbe affidamento a un piano ben preciso, scandito temporalmente da qui ai prossimi 20 anni. L’ora X potrebbe scoccare nel 2030, quando la Cina avrà attuato le riforme necessarie ad arrivare preparata all’appuntamento chiave. La prima: spingere ulteriormente sulla modernizzazione economica (da questo punto di vista, la strategia della “doppia circolazione” è un interessante passo in avanti); la seconda: sviluppare la forza militare a tal punto da trasformare il Paese in una potenza militare. Certo è che per il governo cinese l’annessione di Taiwan non rappresenta soltanto un nervo scoperto, un tassello storico da reinserire al proprio posto. Implica anche un aspetto geopolitico: ossia strappare Taipei agli Stati Uniti, visto che quell’isola è diventata una vera e propria roccaforte americana situata nel cuore del Mar Cinese meridionale. Questa Taiwan, in sostanza, è un vero e proprio freno per l’espansione cinese nella regione. “Last but not least”, il “sogno cinese” di Xi deve necessariamente terminare con la completa riunificazione della madrepatria cinese. La variabile impazzita, da questo punto di vista, è data dal comportamento degli Stati Uniti. Lasceranno che il Dragone si riprenda ciò che considera suo oppure combatteranno fino alla fine per l’indipendenza di Taiwan? La questione resta aperta più che mai.

Tre opzioni sul tavolo.
Un elevato numero di analisti ritiene che la Cina, prima o poi, lancerà un poderoso attacco militare contro l’isola per riprendere il controllo su Taipei. Un’opzione del genere, anche se non dovrebbe essere scartata, è altamente rischiosa. Intanto perché danneggerebbe l’immagine di Pechino, che sta facendo di tutto per emergere come forza responsabile di un uovo ordine globale, nonché punto cardine della Belt and Road Initiative. La seconda opzione è imitare quanto fatto con Hong Kong. Cioè avanzare gradualmente verso l’obiettivo senza usare la forza, facendo “sfogare” la controparte ma dimostrando risolutezza nei momenti chiave della contesa. Anche in questo caso, la tattica potrebbe difettare, visto e considerando che tra Taipei e Pechino c’è, come detto, il terzo incomodo Washington. Spunta, allora, la terza opzione: quella del soft power puro.

Il mega progetto infrastrutturale.
Secondo quanto riportato da Asia Times, la Cina ha l’ambizione di creare un collegamento ferroviario capace di unire idealmente la capitale Pechino a Taipei. Un piano definitivo per il monumentale progetto è stato inserito nei prossimi piani economici. In termini più concreti, lo Stretto di Taiwan potrebbe essere attraverso da un gigantesco tunnel oppure da un ponte. L’esempio più eclatante si chiama Hong Kong-Zhuhai-Macao, autentico gioiello infrastrutturale che potrebbe essere ripetuto anche per “riprendere” la provincia ribelle. Del resto il Dragone prevede una linea in grado di partire dalla stazione ferroviaria a sud di Pechino, snodarsi lungo 2 mila chilometri fino ad arrivare nel Fujian, a soli 126 chilometri da Taiwan. Si tratterebbe di inserire un piccolo appendice infrastrutturale e il gioco sarebbe fatto. L’enorme incognita è rappresentata tanto dal popolo taiwanese che dal governo dell’isola. Che, con ogni probabilità, considereranno il piano cinese una mezza trappola.

Fonte: https://it.insideover.com/economia/la-mossa-economica-di-pechino-per-riprendere-taiwan.html

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