L’estrazione di impianti alieni da parte del dottor Roger Leir.

Quando i ricercatori parlano di alieni, si riferiscono a individui appartenenti a una civiltà molto antica e tecnologicamente avanzata che interagiscono, sul nostro pianeta, con la specie umana. Questa interazione è tutt’altro che nuova, come talvolta sembrano indicare i documenti storici. Sebbene ci siano molte idee e opinioni sul luogo di origine di questa civiltà, nessuno ha ancora fornito prove decisive capaci di gettare luce sulla questione. Uno dei fattori che si aggiungono al mistero è il modo in cui queste entità interagiscono: furtivamente, senza lasciare traccia o prove fisiche. Roger Leir, chirurgo podologo e ufologo di fama internazionale, sosteneva di aver rimosso impianti di nanotecnologia aliena dai suoi pazienti. Leir, che è morto all’inizio del 2014, ha passato gran parte della sua carriera cercando di rendere lo studio degli UFO e dei rapimenti alieni una vera branca scientifica. Per le sedicenti vittime di rapimenti extraterrestri, gli interventi chirurgici di Leir rappresentavano un ponte tra le esperienze personali avute con forme intelligenti non umane e le prove necessarie per confermare la realtà di questi incontri. Gli scienziati più tradizionali, però, continuano a guardare con scetticismo al lavoro di Leir.

Quando il Dr Roger Leir iniziò il suo personale studio sugli impianti alieni, nel 1995, era incredibilmente scettico. Una cosa è considerare l’esistenza di veicoli non identificati e magari extraterrestri che visitano la Terra – affermò – un’altra è credere che degli esseri umani vengano rapiti e usati per esperimenti a bordo di quei veicoli. Non riesco a credere che, per qualche ragione sconosciuta, in alcuni di questi rapiti siano innestati degli impianti. Insieme ad altri medici abbiamo eseguito degli interventi chirurgici atti a rimuovere questi impianti dal corpo degli addotti. Lo abbiamo fatto per curiosità, per dimostrare che tali oggetti, tassati come impianti alieni erano, in fin di conti, delle cose piuttosto normali. Tante volte ci era capitato di rimuovere dei corpuscoli dal corpo delle persone. Data la mia professione di podologo, ho potuto assistere a una vasta e variegata quantità di elementi inglobati nei piedi della gente. Ho visto di tutto: carta, pietre, metallo, plastica, capelli, ecc. Ma, sin dall’inizio della mia indagine sugli impianti alieni, ci sono state molte sorprese che hanno finito col cambiare il mio approccio al problema e ridefinito il mio modo di pensare. Oggi li accetto come parte della ricerca sulla fenomenologia UFO. Con il mio team abbiamo effettuato sedici interventi volti all’estrazione di questi “chip” e ci siamo imbattuti in casi molto interessanti. Abbiamo fondato un’organizzazione no profit (A&S Research), questo ha reso la ricerca più semplice: abbiamo a disposizione un ampio team di ricercatori che si dedicano alla causa con onestà e impegno. I casi più interessanti riguardano due estrazioni di impianti alieni e ci hanno portato ad avanzare alcune teorie innovative. Il 15° intervento fu eseguito nel 2009, su un paziente maschio di cinquant’anni che, per questione di privacy, chiameremo John Smith. John venne da me lamentandosi di un dolore persistente alle dita dei piedi. Furono fatte delle radiografie dell’area interessata e fu trovato un piccolo oggetto metallico in una zona molto vicina all’osso. Durante il consulto, mentre gli mostravo le lastre radiografiche, Mr Smith iniziò a spiegarmi che mi aveva scelto perché mi aveva visto in innumerevoli programmi televisivi ed era venuto a conoscenza della mia esperienza con situazioni inerenti impianti alieni. Un’altra cosa interessante di John Smith era la sua professione: era uno degli scienziati statunitensi a capo della ricerca sulle nanotecnologie. Appariva turbato: viveva un conflitto psicologico costante, causato dal suo senso “scientifico” che non gli permetteva di accettare l’idea di un rapimento alieno. Smith fu sottoposto a diversi e rigorosi esami preoperatori da parte della A&S Research; poi fu operato per eseguire la rimozione chirurgica del “chip” ed era in buona salute dopo la procedura. La cosa straordinaria, che ha reso il suo intervento chirurgico diverso dagli altri, fu che il suo oggetto, metallico, iniziò a sgretolarsi mentre lo rimuovevamo: andò letteralmente in pezzi. Rimase un frammento di metallo, che era stato evidenziato nel suo braccio attraverso i raggi X. Purtroppo, mentre eravamo in procinto di rimuoverlo, scomparì improvvisamente. Non fu rimosso, né cadde: scomparve letteralmente davanti ai nostri occhi. No, c’era alcuna spiegazione! Non solo, ma 48 ore dopo la rimozione del corpuscolo metallico, abbiamo rimosso dal frigorifero la provetta in cui lo avevamo inserito. Il contenitore di plastica sembrava intatto e quando lo scuotemmo leggermente per rimescolare i frammenti, notammo che questi iniziarono lentamente a riorganizzarsi nell’ordine e nella forma in cui li avevamo rimossi. Questo fenomeno, per i quale tutt’ora non abbiamo alcuna spiegazione, fu registrato in un video. Le analisi del tessuto organico che rivestiva il “chip” mostrarono l’assenza di processi infiammatori e come si è potuto osservare in altri campioni, si era verificata una crescita di cellule nervose che si erano insinuate nella struttura. Per quanto riguarda, invece, l’intervento chirurgico di rimozione sul 16cesimo paziente, ebbe luogo nell’aprile 2010 su di un paziente di cinquant’anni, che chiameremo (in gergo) Ron Brandon. Ron aveva un acceso ricordo del suo rapimento, che si sarebbe verificato all’età di dieci anni. Ricordava di un viaggio, per un campeggio non lontano da dove viveva, nello stato del Tennessee (USA). All’epoca era con due suoi amici e sosteneva di aver ricevuto l’impianto in quella circostanza. Ron rivelò che anche i suoi due amici erano stati portati a bordo dell’UFO ma avevano ricordi differenti di quell’evento. Il caso non fu indagato e col passare degli anni, lui e i suoi amici si persero di vista. Trascorsero meno di due anni dal primo contatto alla rimozione chirurgica dell’oggetto. Ron mi aveva inviato delle radiografie e dopo averle analizzate con il team, abbiamo scoperto che il manufatto, metallico, si trovava nel polso, ovvero nella stessa posizione di un caso che avevamo affrontato in precedenza. Prendemmo in carico il paziente, considerando Ron come un candidato all’operazione chirurgica e lo mettemmo in lista d’attesa. Purtroppo, ci vollero quasi due anni prima di reperire i fondi per operarlo. A complicare le cose, la persona che si era offerta di pagare tutte le spese, si tirò indietro due settimane prima della data prevista per l’intervento. Fu un duro colpo per il candidato e per l’A&S Research, che conta su di queste donazioni. Tuttavia, questo imprevisto attirò l’attenzione di Jaime Maussán, un famoso giornalista e ufologo messicano che dirige il programma Tercer Millennium [Terzo Millennio]. Maussán mi contattò chiedendomi ulteriori dettagli sul caso. Rimanemmo sorpresi quando si offrì di pagare, di tasca propria, tutte le spese se gli avessimo permesso di filmare l’intervento per il suo programma televisivo. Personalmente, rimasi entusiasta dell’offerta e iniziai immediatamente i preparativi con il team A&S. Quando Maussán venne a conoscenza degli altri due rapiti (i due amici che erano con Ron Brandon in quel campegggio) si offrì di pagare le spese di viaggio pur di portarli in California, dove si trovava il nostro ufficio. Entrambi accettarono l’offerta ma, sfortunatamente, uno di loro, per problemi personali, non poté intraprendere quel viaggio. Sia Ron che il suo amico (che chiameremo Dan Taylor) furono sottoposti a una sessione di ipnosi regressiva con Yvonne Smith. La seduta fu registrata in un video. La regressione diede i suoi frutti con Ron, mentre per Dan si verificò un blocco che non poté essere rimosso in una singola sessione. Si riservarono di sottoporlo a un’altra seduta, in futuro, magari insieme al terzo membro del gruppo, ma non fu possibile farlo. La regressione ipnotica di Ron rivelò il classico scenario di un rapimento alieno. Era in campeggio, aveva 10 anni e gli altri ragazzi, anch’essi coinvolti, avevano più o meno la sua stessa età. Trovammo interessante i loro racconti, ottenuti separatamente: rivelarono frammenti della vicenda che non riuscivano a ricordare senza l’aiuto dell’ipnosi. Uno diede un’ottima descrizione della superficie inferiore della nave, mentre Dan ricordò di essere stato trascinato in un orto e, per qualche strana ragione, di aver raccolto e mangiato delle verdure. Quando Yvonne condusse Ron a superare il blocco della tipica amnesia dovuta all’abduction, descrisse i tre ragazzi che fluttuavano in aria dirigendosi verso un oggetto che si librava sopra di loro. Fu interessante notare che descrisse i fatti con la mentalità di un bambino di dieci anni. Continuava a ripetere quanto fosse stato divertente fluttuare in aria. Era la narrazione, libera da pregiudizi e stereotipi, che non ci si aspetta da un adulto maturo. Ron continuò a descrivere l’interno della navicella e vennero fuori altri dettagli: riferì che fu sottoposto a una visita medica e descrisse la procedura utilizzata per inserirgli l’impianto. Il 24 aprile 2010, Ron fu sottoposto alla procedura chirurgica per rimuovere l’impianto. L’intervento andò bene e il corpuscolo fu rimosso senza difficoltà. Fummo in grado di esaminare l’elemento al microscopio immediatamente dopo l’intervento chirurgico: ottenendone una visione molto dettagliata. La sua struttura sembrava essere la stessa degli altri oggetti metallici che avevamo già rimosso. Non c’erano segni di infiammazione e c’era presenza di tessuto nervoso nel campione. Comparando i due oggetti: quello estratto dal corpo di John Smith con quello prelevato dal corpo di Ron Brandon, si poté notare una certa differenza: quello di John era cilindrico e circondato da una dura membrana grigio scuro. la membrana conduceva l’elettricità e crediamo, che fungesse da interfaccia tra il dispositivo e il sistema nervoso. L’oggetto di Ron era più rettangolare ed era avvolto in quello che sembrava essere un tessuto epiteliale con vescicole (da 30 a 40 µm) contenenti un liquido oleoso giallastro, che sottoposto ad analisi spettroscopica infrarossa (FTIR) mostrava un’alta concentrazione di acido laurico. È stato descritto come un di o trigliceride dell’acido laurico, insomma, simile al​​l’olio di cocco. Sia l’acido laurico, sia l’olio di cocco, hanno proprietà antibatteriche ed è probabile che la funzione delle vescicole fosse quella di prevenire infezioni che potrebbero compromettere la connessione con il sistema nervoso. Entrambi i dispositivi erano collegati al sistema nervoso tramite i nervi propriocettori. Entrambi gli impianti presentavano delle strutture di nanotubi in carbonio. Pare che i nanotubi di carbonio, in entrambi i casi, fungessero da connessioni elettriche con i dispositivi. Entrambi gli oggetti erano metallici, composti principalmente da ferro. Nel caso dell’oggetto John, un’analisi spettrometrica di massa (ICP-MS) mostrò che era composto da circa il 5% di nichel e presentava tracce di gallio, germanio, platino e iridio. Tutto faceva presumere che si trattasse di un oggetto fabbricato con ferro meteorico. L’oggetto di John aveva anche un guscio esterno. All’apparenza, sembrava madreperla, ma se osservato al microscopio, mostrava una composizione più simile a una struttura biologica dura, come un osso. L’analisi spettroscopica a raggi X indicò che il guscio era composto principalmente di calcio, silicio, carbonio, ossigeno, fosforo e zolfo. L’analisi isotopica eseguite dall’ICP-MS dimostrò una composizione non comune, tanto da propendere per un origine extraterrestre. Questo, almeno, fu il parere espresso dal Dr. Alex Moser. Le analisi EDX indicarono che i componenti principali dell’oggetto di Ron Brandon erano ferro, carbonio, ossigeno, alluminio, silicio e fosforo. C’erano anche zolfo, cloro, calcio, potassio e cromo, in quantità minori. Poiché non fu rilevato il nichel nel manufatto di Ron, fu esclusa anche la possibilità che fosse prodotto con ferro meteorico. L’elemento estratto dal suo corpo aveva anche una copertura esterna che si presentava lucida e nera se osservata al microscopio. L’analisi EDX indicò che era composto da carbonio, ossigeno, fosforo e ferro e conteneva dei fori, profondi circa 10 µm in tutta la struttura. In entrambi gli impianti furono rilevati campi magnetici ed emettevano segnali radio. Il “chip” di Ron che si era sempre mostrato attivo mentre si trovava nel corpo dell’ospite, ma smise di emettere segnali radio entro pochi giorni dall’estrazione. L’oggetto di John Smith era fragile e si ridusse in pezzi durante la rimozione. Si ritiene che questa fragilità fosse dovuta alla presenza di incrostazioni sui fasci di nanotubi in carbonio. Erano coperti con uno strato di materiale simile a quello che rivestiva il dispositivo. Al contrario, il manufatto di Ron Brandon sembrava avere una composizione più omogenea, senza incrostazioni visibili: era estremamente duro e non si riuscì a tagliarlo neanche usando un bisturi o una tronchese. Dato che non si riuscì a tagliarlo nemmeno con una macchina da taglio, fu inviato a un laboratorio dotato di apparecchiature laser per essere tagliato con un raggio ad alta energia. I pezzi di entrambi i manufatti tendevano a ritornare nella loro posizione originale quando venivano messi insieme, probabilmente a causa dell’attrazione magnetica. Robert Koontz, un fisico nucleare, ha elaborato una teoria matematica basata sul tasso di decadimento degli isotopi. Ha usato questa teoria, insieme ai dati provenienti da distanze astronomiche, per dichiarare che crede che gli oggetti estratti da entrambi i pazienti provengano da una galassia lontana – questo ci dimostra che possiamo imparare di più sui nostri visitatori esaminando gli oggetti che lasciano nei nostri corpi. Nel suo rapporto sulla rimozione dell’impianto di John Smith, Koontz scrisse:
“Credo personalmente che sia lecito affermare che l’oggetto rimosso abbia tassi di isotopi non terrestri. Che sarebbe coerente con un artefatto costruito su un sistema stellare diverso dal nostro. Considerando che la perdita del 2,2% di isotopi di boro-10 dall’elemento esaminato era dovuta a un cattivo processo di cattura dell’elettrone che porta al berillio-10, l’oggetto potrebbe provenire da un sistema stellare che ha iniziato a svilupparsi circa 100 milioni di anni prima del sistema solare. È quindi plausibile che il presunto impianto provenga da una civiltà che ha avuto la sua evoluzione stellare circa 80 milioni di anni prima di noi.”
Questi furono risultati preliminari, comunque incoraggianti, che ci aiutarono a conoscere un po’ di più il fenomeno del rapimento alieno e anche chi lo pratica. Il fatto che i rapitori inseriscano chip nei nostri corpi può suggerire diverse cose. In primo luogo, possono, attraverso questi dispositivi, sapere dove sono i “loro” rapiti in qualsiasi momento, usando una sorta di geolocalizzazione. In secondo luogo, gli impianti possono anche avere la funzione congiunta di informare i rapitori sulle condizioni fisiche, i pensieri, il metabolismo, le reazioni emotive dei rapiti e chissà quant’altro ancora. Non dovremmo meravigliarci se degli umani vengano catturati e portati a bordo di navicelle aliene per inoculargli questi artefatti. Dopo tutto, anche noi prendiamo di mira animali selvatici in via di estinzione, li addormentiamo con freccette e poniamo su di loro dei dispositivi (collari) dotati di trasmettitori radio per sapere sempre dove sono e come ritrovarli in qualsiasi momento. Questo dovrebbe farci riflettere. Molti ricercatori hanno cercato, negli ultimi vent’anni, di giustificare questi incontri ravvicinati del terzo tipo ma, in assenza di prove chiare di un incontro con forme di vita aliene, cercare spiegazioni alternative per le denunce non ha senso. Ma cosa succede se, invece, le prove materiali di questi incontri ci sono?

Fonte: https://francocacciapuoti.blogspot.com/2019/12/tecnologia-aliena.html

Print Friendly, PDF & Email
Potete condividere con le icone qui sotto