Il piano nazista per portare via il Sudafrica agli inglesi.

L’epopea nazista non è durata un millennio come sognava Adolf Hitler, ma quei dodici anni sono stati sufficienti a catalizzare l’entrata dell’umanità in una nuova dimensione storica: l’era della Guerra fredda, della decolonizzazione e della fine definitiva del sistema europeo degli Stati. E ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, quella nazista continua ad essere la saga storica che, più di ogni altra – anche più dello scontro egemonico tra Stati Uniti e Unione Sovietica -, stimola la fantasia di scrittori e sceneggiatori. I motivi per cui quel periodo di orrori continua a magnetizzare l’interesse dei ricercatori, in effetti, sono innumerevoli. Perché indagare genesi e origini di quello che Alfred Rosenberg aveva ribattezzato il Mito del ventesimo secolo non significa addentrarsi semplicemente nei meandri plumbei e cabalistici dell’esoterismo, dell’occultismo e del misticismo (come rammentano la Società di Thule, il vissuto misterico di Rudolf Hess e la curiosa ricerca del Santo Graal), dato che il nazismo fu anche, e soprattutto, un laboratorio di esperimenti nelle sfere della geopolitica e delle relazioni internazionali. Tra i vari esperimenti geopolitici condotti dagli strateghi del Führer, i più degni di nota sembrano essere stati dimenticati dalla storiografia, che non li ha mai approfonditi, limitandosi a scavare in fosse già lavorate e sovraffollate. E nel novero di questi esperimenti, semisconosciuti ai più, figurano l’alleanza profana tra la Svastica e la Mezzaluna islamica, l’assalto all’America Latina, l’infiltrazione delle terre turco-islamo-turaniche dell’Unione sovietica e i curiosi assi con i separatisti nordirlandesi e i nazionalisti sudafricani in chiave antibritannica.

Una storia di boeri, nazionalisti e massoni-messianisti.
La logica dell’antidiluviano e sempreverde amicus meus, inimicus inimici mei avrebbe incoraggiato gli strateghi del Führer a tentare di piantare la bandiera nazista letteralmente ovunque, dal cuore della Terra mackinderiana alla dār al-Islām, non risparmiando neppure il continente africano. Qui, oltre alle campagne belliche nel settentrione, i nazisti si sarebbero resi protagonisti di una mission impossible, tanto azzardata quanto ambiziosa, colpevolmente riposta nel cassetto dei ricordi dimenticati dalla storiografia. È il 1939, la Seconda guerra mondiale albeggia e nell’Unione sudafricana, dominion pivotale dell’impero britannico, sta accadendo qualcosa di inquietante, un fenomeno che turba i diplomatici e i servizi segreti di Sua Maestà: le tensioni tra coloni inglesi e boeri, che sembravano essere state sepolte definitivamente dalla Seconda guerra boera e dalla Prima guerra mondiale, sono riapparse e vanno diffondendosi. I principali veicoli delle tensioni, che sono il frutto di una radicalizzazione della comunità boera in direzione di un etno-nazionalismo esclusivistico e dalle venature antibritanniche, sono due entità: il Partito nazionale purificato di Daniel François Malan ed una società segreta, la Fratellanza afrikaner, guidata da obiettivi politici – l’indipendenza da Londra – e messianici – la trasformazione della terra sudafricana in un luogo privo di peccato, votato al calvinismo e rimesso nelle mani di Dio. Insieme, il Partito nazionale purificato e l’impermeabile Fratellanza afrikaner, avrebbero dato vita ad un’organizzazione dedita al “risveglio boero“: l’OssewaBrandwag (Sentinella del carro trainato dai buoi, Ndr). Fondata nel 1939, all’indomani del centenario della Grande marcia (Great Trek), uno degli eventi-chiave della storia dei boeri sudafricani, l’OB si sarebbe rapidamente trasformata nel più grande raggruppamento organizzato dei nazionalisti boeri e nella forza catalizzatrice del travolgente momentum anglofobico. Comprendere origini e ragioni di quella sospettosa mobilitazione antibritannica, per gli 007 di Sua Maestà, non sarebbe stato affatto difficile: il logo dell’OB conteneva dei palesi richiami al Terzo Reich – un’aquila nera, stilizzata, nazisteggiante ed un motto di tedesca memoria “Il mio Dio, il mio Popolo” (My God, My Volk) – ed il fondatore era Johannes van Rensburg. Quest’ultimo, a Londra, era un volto tutt’altro che sconosciuto: avvocato di successo, storico lobbista di punta del nazionalismo boero, Segretario di Stato alla giustizia e, soprattutto, amico di Adolf Hitler e Hermann Göring, coi quali soleva incontrarsi con il pretesto del lavoro.

Approdare a Città del Capo per colpire Londra.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, con il progressivo posizionamento di pianeti e satelliti da una o dall’altra parte, i militanti dell’OB avrebbero cominciato a protestare duramente contro la decisione del governo sudafricano di entrare nel conflitto a fianco dell’impero britannico. Sullo sfondo delle marce, e dei tumulti, l’OB avrebbe persino avviato una campagna contro la coscrizione obbligatoria e, non meno importante, dato vita ad un’ala paramilitare: gli Stormjaers. Dagli scontri, di cui gli storici ricordano in particolare l’insurrezione anti-coscrizione di Johannesburg del primo febbraio 1941, culminata con il ferimento di 140 militari, l’OB avrebbe gradualmente alzato il tiro della lotta, passando ai sabotaggi e agli attentati contro infrastrutture strategiche quali le centrali elettriche e le linee di comunicazione telefonica e telegrafica. Nel 1942, all’acme della guerra asimmetrica dell’OB contro il governo sudafricano, le autorità avrebbero optato per la politica della tolleranza zero: arresti di massa, trasferimenti dei detenuti in campi di internamento ad hoc e imposizione temporanea di un regime poliziesco. Stremati dalle carcerazioni – nell’ordine delle migliaia – e privi di supporto, dato il concomitante declino dell’Asse, quei patrioti divenuti guerriglieri avrebbero ceduto, dissolvendosi completamente con la fine della guerra.

Lo 007 dell’Abwehr.
L’assalto nazista al Sudafrica non sarebbe stato circoscritto alla strumentalizzazione del risentimento boero nei confronti dell’impero britannico. Sullo sfondo dell’agitamento dell’OB e dell’infiltrazione nelle società segrete, infatti, Berlino avrebbe fatto ricorso al più antico dei metodi: lo spionaggio. Delle spie sudafricane al servizio del Terzo Reich, che non è dato sapere quante siano state, l’insospettabile Sidney Robbey Leibbrandt fu sicuramente il più celebre, colui il cui caso avrebbe suscitato uno scalpore senza eguali. Appartenente ad una famiglia di patrioti boeri, fieramente antibritannici, Leibbrandt era un personaggio pubblico ed uno sportivo di fama internazionale. Pugile professionista, Leibbrandt aveva vinto il bronzo nella categoria dei pesi mediomassimi ai secondi Giochi dell’Impero britannico, tenutisi a Londra nel 1934, e gareggiato alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Qui, pur non vincendo alcuna medaglia – terminò la competizione in quarta posizione -, avrebbe fatto la conoscenza di Hitler e del nazismo, restandone affascinato. Nel 1938, subito dopo essere diventato il campione sudafricano dei pesi massimi, il giovane pugile avrebbe fatto ritorno in quella Berlino che lo aveva stregato. Inizialmente interessato a proseguire la carriera sportiva – si iscrisse all’Accademia del Reich per la Ginnastica -, Leibbrandt fu avvicinato e quindi reclutato dai potenti servizi segreti esteri della Germania nazista, l’Abwehr, e convinto a diventare una spia. Avrebbe fatto ritorno in Sudafrica soltanto nel 1941, dopo un triennio di intenso addestramento: non nelle arti pugilistiche, quanto nel pilotaggio aereo, nella guerra irregolare e nell’utilizzo di armi da fuoco ed esplosivi. Neanche i sudafricani più scettici, ad ogni modo, avrebbero potuto immaginare la ragione del rientro della promessa del pugilato. Leibbrandt, invero, non avrebbe dovuto esperire delle semplici missioni di tipo pedinamento-intercettazione: era stato scelto per partecipare all’operazione Weissdorn, il piano nazista per il rovesciamento del governo sudafricano e l’instaurazione di un regime amico.

Il golpe fallito.
Nel giugno 1941, dopo aver preso contatti con van Rensburg, il pugile-spia avrebbe personalmente gestito la formazione della squadra di putschisti, reclutati nell’ala paramilitare dell’OB. Dopo un breve periodo di formazione, svolto tra le province a maggioranza boera del Transvaal e dello Stato libero dell’Orange, Leibbrandt e i golpisti – una sessantina – avrebbero inaugurato una guerra asimmetrica a base di sabotaggi e attentati contro le infrastrutture strategiche, complementando il lavoro condotto in concomitanza dall’OB, contraddistinguendosi, però, per gli obiettivi più elevati, come le linee ferroviarie, e i mezzi impiegati, cioè la dinamite. Nel 1942, tradito dall’espansione delle violenze dell’OB per le strade del Sudafrica – a quell’apogeo avrebbe fatto seguito un rapido e tremendo declino -, Leibbrandt avrebbe accelerato il passo, tentando il salto dalla guerra irregolare al colpo di Stato. Un salto che avrebbe assunto la forma di combattimenti in aree urbane e scontri con le forze armate. Una soffiata alle autorità, nel dicembre dello stesso anno, avrebbe posto fine al sogno nazista di far sventolare la svastica a Città del Capo. Il processo a Leibbrandt sarebbe stato tanto rapido quanto inusualmente televisivo. In soli tre mesi, data la mole di prove a carico dell’imputato, nonché il suo atteggiamento in aula – saluti e canti nazisti -, la corte avrebbe raggiunto il verdetto: condanna a morte per alto tradimento. Gli eventi, però, avrebbero assunto una piega totalmente inaspettata. Elogiato dalle folle al di fuori del tribunale, e felice di andare al patibolo per il Führer, Leibbrandt era divenuto improvvisamente un problema, una possibile fonte di ulteriore radicalizzazione dei boeri, in un momento in cui lo Stato era impegnato a reprimere l’OB. I giudici, perciò, decisero di commutare la pena capitale in ergastolo. Dietro le sbarre, comunque, sarebbe rimasto poco, un po’ perché troppo popolare per essere rinchiuso a vita e un po’ perché pericolosamente capace di evangelizzare al credo nazista dai detenuti alle guardie. Le autorità lo avrebbero liberato nel 1948, perché amnistiato dal neonato esecutivo di un personaggio fortemente ambiguo, concausa del risveglio boero e legato a doppio filo alla Fratellanza afrikaner: Daniel François Malan.

Fonte: https://it.insideover.com/storia-2/la-storia-dimenticata-dell-assalto-nazista-al-sudafrica.html

Print Friendly, PDF & Email
Potete condividere con le icone qui sotto