I progetti dell’Italia fascista per realizzare delle portaerei.

La Regia Marina studiò vari progetti per una o più portaerei per la flotta negli anni ’30, ma non intraprese alcuna azione oltre allo sviluppo di un progetto di base per una nuova nave e l’identificazione di navi mercantili idonee alla conversione. A metà 1940, mentre l’Italia si preparava a entrare in guerra come alleata della Germania, fu preparato un progetto per la conversione della nave veloce Roma in portaerei, ma ancora una volta fu considerata non prioritaria rispetto ad altre costruzioni e fu messa da parte nel gennaio 1941. Ci volle lo shock della sconfitta di Capo Matapan (28 marzo 1941), che gli italiani attribuirono all’impiego britannico della portaerei Formidable, per rilanciare le richieste di una portaerei come requisito urgente. Nel luglio 1941 il Sottosegretario alla Marina autorizzò la trasformazione della Roma in portaerei, basandosi sugli studi progettuali dell’anno precedente. Alla fine, il progetto divenne molto più ambizioso e richiese un’importante trasformazione del transatlantico relativamente anziano nella portaerei Aquila. Inizialmente, la Regia Marina progettò l’Aquila, come doveva essere chiamata la nuova portaerei, come conversione essenziale e col minimo sforzo avrebbe portato degli aerei in mare in tempi minimi. Tuttavia, problemi imprevisti e il comprensibile desiderio della marina per la massima capacità possibile in quella che poté rivelarsi la sua unica portaerei, spinsero una spirale di nuove funzionalità, maggiore complessità e ritardi crescenti. Per migliorare l’idrodinamica dello scafo, aumentare la capienza di carburante e avere protezione subacquea che naturalmente mancava nello scafo del mercantile, furono installati grandi controcarene sui lati dello scafo alla linea di galleggiamento. L’interno della nave fu completamente liberato per fare spazio a un grande hangar per 40 aeroplani, depositi, officine e alloggi per un equipaggio di 1165 marinai e 243 piloti e meccanici della Regia Aeronautica. Un ponte di volo a tutta lunghezza sormontava lo scafo, con una grande isola a dritta. Per la protezione da minacce di superficie, la nave ebbe otto cannoni L45 da 135 mm su postazioni singole ai lati del ponte. La difesa antiaerea era fornita da dodici cannoni L64 da 65 mm in postazioni singole ai bordi del ponte e 132 cannoncini Breda da 20 mm L65 in 22 postazioni sestuple lungo i bordi del ponte e davanti e dietro dell’isola. Una corazzatura leggera, parte in cemento, fu posta sulle aree vitali della nave. Nel complesso, da tutto questo sforzo emerse una nave ben congegnato e all’avanguardia ma, come si vedrà, dal fatale costo temporale.

Dislocamento: 23350 tonnellate (standard), 27800 tonnellate (pieno carico)
Dimensioni: 235,5 m per 30 m per 7,3 m
Ponte di volo: 216,2 m per 25,3 m per 23 m
Macchinari: Turbine a ingranaggi Belluzzo, 8 caldaie Thornycroft, 4 alberi, 140000 cv per 30 nodi
Carburante: 2.800 tonnellate per 4.000 miglia nautiche a 18 nodi
Aerei: 36; alte fonti dicono che il gruppo aereo sarebbe stato di 51 Re2001, alcuni modificati per trasportare un siluro.
Armamento: 8x135mm, 12x65mm AA, 22 x 6 da 20 mm AA
Complemento: 1420 effettivi

La sovrastruttura fu completamente spianata e un grande hangar lungo 160 metri e largo 18 metri fi eretto sotto il ponte di volo in acciaio. L’apparato motore originale del Roma fu sostituito con due serie di macchinari originariamente destinati agli incrociatori leggeri della classe Capitani Romani, portando la velocità della nave da 21 nodi a 30 nodi. Le prese delle caldaie furono fissate a tribordo in un fumaiolo molto grande incorporato nella struttura dell’isola. Due ascensori collegavano l’hangar e il ponte, che aveva due catapulte e l’equipaggiamento di arresto completo. Tutto l’armamento era montato su piattaforme poste ai lati della nave. Depositi e cisterne del carburante aereo furono creati e protetti da ponti corazzati da 75mm. Per garantire la stabilità e una difesa efficace dai siluri, lo scafo era dotato di profonde controcarene su ciascun fianco. Quando l’Italia si arrese l’8 settembre 1943, l’Aquila era praticamente completa. I tedeschi presero la nave ma fu pesantemente danneggiata dai bombardamenti dell’Aeronautica degli Stati Uniti il 16 giugno 1944 e da un attacco con siluri umani il 19 aprile 1945. Il 24 aprile 1945, la nave fu affondata a Genova. Dopo la seconda guerra mondiale fu recuperata e portata a La Spezia nel 1949. Inizialmente la Marina Militare italiana pensò di riadattare l’Aquila come portaerei, ma questo piano fu abbandonato e la nave smantellata nel 1952. Alla fine del 1942 la Regia Marina decise di aggiungere una seconda portaerei alla flotta e iniziò la conversione del transatlantico Augustus secondo le linee originariamente proposte per il Roma. I lenti progressi della conversione dell’Aquila e l’ovvia necessità di altre portaerei spinsero la marina a riavviare l’idea della conversione austera e con modifiche minime nel 1942. La Augustus fu scelta per la conversione come Sparviero. Fu progettata, essenzialmente, come portaerei di scorta, che doveva avere un ponte di volo continuo che sormontava un semplice hanagar, sulla sommità dello scafo, ma senza isola. Le controcarene furono montate sullo scafo, ma non furono prese in considerazione altre modifiche importanti. Il gruppo aereo doveva essere limitato a 20 aerei. L’armamento sarebbe stato costituito da sei cannoni da 152 mm e quattro antiaerei da 102 mm. Con una lunghezza al galleggiamento di 202 m, larghezza di 25 m e pescaggio di 9 m, aveva all’incirca le stesse dimensioni dell’Aquila. Ma il suo originale apparato motore diesel esaurito avrebbe dato solo una frazione della potenza dell’altra nave: 28000 cv su 4 alberi e una velocità massima di soli 18 nodi. Quando la nave, ormai ribattezzata Sparviero, fu sequestrata dai tedeschi dopo la resa dell’Italia solo la sovrastruttura fu abolita e lo scafo affondata il 24 aprile 1945, nel tentativo di bloccare l’ingresso al porto di Genova. Fu recuperato nel 1947 e demolito.

I gruppi aerei di queste portaerei erano particolarmente ben concepiti. Piuttosto che sviluppare la pletora di tipi specializzati dalla produzione limitata che caratterizzavano l’avversario Fleet Air Arm della Royal Navy, la Regia Aeronautica standardizzò su un unico tipo per soddisfare tutti i ruoli richiesti all’aereo d’attacco navale. Ciò semplificava la fornitura di ricambi e l’addestramento dei piloti navali. Massimizzava il numero di aeromobili da accogliere (51, incluso il parcheggio sul ponte) e dava al gruppo aereo una flessibilità inedita. Per gli attacchi alle unità navali nemiche, tutti gli aerei potevano trasportare ordigni antinave, perché ciascuno degli aerei poteva difendersi da pattuglie di caccia. Allo stesso tempo, in caso di attacco all’Aquila, tutti gli aerei disponibili potevano essere utilizzati come caccia. Non c’erano goffi bombardieri in picchiata o aerosiluranti da sgombrare dal ponte in caso di crisi. Per questo velivolo multiruolo, la Marina optò per il Reggiane Re.2001, versione con motore in linea più efficace del vicino Re.2000. Il Re.2001 somigliava molto al Re.2000 sotto quasi tutti gli aspetti. Ma il motore radiale Piaggio P.IX, ingombrante e soggetto a problemi, lasciò il posto a un Alfa Romeo RA.1000 RC.41a Monsone V-12 raffreddato a liquido, un Daimler-Benz DB 601 costruito su licenza che offriva 1175 cv al decollo. Allo stesso tempo, la struttura alare del Re.2000 fu ridisegnata per sostituire i serbatoi di carburante ad ala integrale soggetti a perdite e al fuoco con serbatoi di carburante corazzati convenzionali, integrati, quando richiesto, da un grande serbatoio a forma di siluro sotto la fusoliera. Le mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm e montate sulla prua furono integrate da una mitragliatrice da 7,7 mm in ciascuna ala. La velocità massima aumentò a 545 kmh a 5470 m, e autonomia col carburante interno di 1100 km.

Le difficoltà della produzione su licenze del motore DB 601 limitarono gli ordini iniziali del Re.2001 a soli 120 aeromobili. Ma, di questi, ben 50 erano era modelli Re.2001OR (Organizzazione Roma), specificamente destinati alla portaerei. Il Re.2000OR incorporava carrelli di atterraggio rinforzati e componenti della cellula per soddisfare i carichi più elevati previsti negli appontaggi. Un grande gancio di arresto a forma di A fu montato sotto la poppa rinforzata e la cellula fu rifinita nell’elegante grigio-blu pallido visto per la prima volta sui caccia da catapulta Re.2000. L’aereo della marina manteneva lo standard delle bombe a catena dei cacciabombardieri Re.2000 terrestri e poteva quindi svolgere il ruolo di bombardiere navale. Le armi avrebbero probabilmente incluso una bomba demolitrice standard da 250 kg e una speciale bomba antinave perforante da 630 kg. Sebbene il Re.2001OR fosse ammirevolmente adatto ai ruoli di caccia e bombardiere navale, non poteva adempiere alla vitale missione di aerosilurante come previsto. Mentre le bombe potevano paralizzare una nave, il siluro era ancora l’unica arma in grado di colpire in modo deciso sotto la linea di galleggiamento e affondare le navi. Di conseguenza Reggiane modificò uno dei Re.2001OR (MM.9921) per trasportare un siluro leggero come Re.2001G. Questo era pronto per i test di volo nel giugno del 1943, ma si schiantò prima che potessero iniziare le prove coi siluri.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Fonte estera: https://weaponsandwarfare.com/2018/07/17/italian-carrier-development-during-world-war-ii

Fonte italiana: http://aurorasito.altervista.org/?p=19662

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