L’avvistamento ufo di Taizé del 1972 ha manipolato i testimoni?

L’episodio che forma l’oggetto del presente articolo si presta anche ad alcune considerazioni di natura socio-psicologica. Come infatti vedremo, è sconcertante il comportamento delle numerose persone presenti all’avvistamento, il che rispecchia un diverso modo di rispondere allo stimolo costituito dalla visione di un fenomeno insolito. Mette a fuoco il complesso e dibattuto problema del rapporto Ufo-osservatore; un problema che sembra per certi aspetti sfuggire agli schemi della logica e che, in questo caso, assume toni alquanto misteriosi.

Taizé agosto 1972. Le mie fonti sono le inchieste del “Grupement d’étude de phénomènes aériens (G.E.P.A.)” e di J. Tyrode pubblicate, rispettivamente, su «Phénomenes Spatiaux» n. 35, marzo pagine 11-21, e sulla “Flying Saucer Review” n. 4 del 1973, pagine 16-22. Taizé è una località della Francia centrale situata a 10 Km a nord di Cluny nel dipartimento Saona-Loira, sulla strada nazionale n. 481. Il villaggio, sede di una piccola comunità religiosa protestante diretta da padre Roger Schutz, costituisce la meta di periodici pellegrinaggi di fedeli provenienti da ogni parte del mondo. Nell’estate del 1972, trentacinque nazioni avevano preso parte alle celebrazioni organizzate da frate Roger. I convenuti, per la maggior parte giovani, si erano attendati nei pressi del villaggio, su una collina alta 250 metri s.l.m. che domina di una cinquantina di metri la pianura circostante. La notte del dodici agosto il cielo era coperto e nessuna stella risultava visibile. Circa al 1:55, quattro giovani stavano intorno a un fuoco, intenti a conversare. Si trovavano all’interno di un avvallamento del terreno detto, per la sua forma, “Il Cratere”. Due di essi furono identificati, si trattava di: Francois Tantot, di Màkon, di anni 21, studente del secondo anno di psicologia e di Renata Faa, studentessa italiana proveniente da Masullas (Sardegna). Erano intenti a discutere con uno studente di Digione e un’alto studente italiano. Mentre parlavano, l’attenzione di Renata fu colpita dall’apparizione improvvisa di una luce: era come una grossa stella, che sfrecciò rapidissima attraverso il cielo scuro e sembrò scomparire sopra o dietro la cresta di un piccolo altipiano situato a circa 1500 metri ad ovest del Cratere, separato da questo da una valle poco profonda coperta di campi arati di fresco. L’altipiano, denominato “La Cras”, raggiunge un’altitudine di 250 metri e pertanto la sua sommità si trova allo stesso livello della collina del Cratere. Non è chiaro se Renata abbia segnalato subito ai suoi amici l’arrivo della “stella”. Le due fonti da me utilizzate sono discordanti su questo punto (e su qualche altro, come vedremo): secondo il G.E.P.A., la ragazza non avvertì subito gli altri; secondo Tyrode, invece, essa lo fece, ma gli amici non reagirono in tempo per vedere. In ogni modo, subito dopo, un suono strano lacerò l’aria: una specie di vibrazione acuta, quasi un sibilo, che si ripeté due o tre volte. Era spiacevole, fastidioso e sembrava provenire dalla collina La Cras. I quattro giovani si volsero istintivamente in quella direzione e si accorsero che in cima alla collina erano apparse delle luci. Erano nove, immobili, allineate orizzontalmente a intervalli regolari. Le prime due a sinistra erano piccole, rosse, intermittenti. Le altre sette, due grandi seguite da cinque più piccole, erano invece di colore giallo e sembravano disposte lungo una struttura scura, fusiforme, di notevoli dimensioni. Circa la lunghezza del “fuso” le stime non sono concordi: il G.E.P.A. parla di una sessantina di metri, mentre Tyrode, sulla base di certi punti di riferimento individuati sulla cresta della collina (un campo arato visibile alla estremità sinistra dell’oggetto e un albero alla sua estremità destra), valuta una lunghezza massima di quaranta metri. Mentre i quattro giovani osservavano il fantastico spettacolo, altre persone, una trentina in tutto, si erano unite a loro. Qualcuno suggerì I’ipotesi che si trattasse di un torpedone, ma le dimensioni enormi dell’oggetto obbligarono a scartare subito questa possibilità. Passarono cinque minuti, poi la scena si animò: cinque delle sette luci gialle e precisamente le due più grandi e le tre piccole contigue, cominciarono ad emettere ciascuna una fascio di luce bianca. Erano fasci ben strani: pur diffondendosi normalmente a cono, essi si materializzarono lentamente e progressivamente raggiungendo il suolo soltanto dopo una decina di minuti e assumendo un aspetto solido tanto da sembrare dei piloni. Poi presero a descrivere un movimento circolare attorno al loro asse verticale, come se volessero perlustrare la zona sottostante. Al di sopra delle due luci gialle più grandi si erano intanto rese visibili due protuberanze, una specie di semisfere o cupole che rompevano l’uniformità del profilo del fuso. Il piede dei fasci non era distinguibile sul terreno e ciò fece pensare che esso cadesse oltre la cresta della collina. A momenti, i fasci aumentavano di intensità. Stranamente, l’aumento partiva dalla base e si trasmetteva poi fino all’origine. Fin dall’inizio dell’avvistamento, Francois Tantot avvertì un fastidioso formicolio alle dita delle mani (che continuò per i due giorni successivi, tanto che il giovane ebbe qualche difficoltà a tenere il volante della sua auto). Lo studente di Digione accusò invece un dolore ai ginocchi, la cui origine potrebbe tuttavia essere imputata al fatto di essere rimasto per tanto tempo in piedi. Nessun disturbo fu avvertito dagli altri due testimoni principali. Sempre dall’inizio dell’avvistamento e per la durata di una ventina di minuti, alcuni cani del vicinato abbaiarono furiosamente.

Lo spettacolo si mantenne costante per circa tre quarti d’ora o poco più. Poi, dall’estremità destra del fuso scaturirono delle fiammelle o scintille rosso-arancioni e subito dopo uscirono (o emersero dal retro) tre piccoli dischi di colore biancastro, muniti di minuscole luci rosse alle loro estremità. Essi cominciarono a volteggiare intorno all’oggetto principale, ora in un senso ora nell’altro, senza regolarità apparente. Le piccole luci rosse ai loro bordi sembravano collegate in qualche modo con le luci del fuso. Per esempio, quando uno dei fari aumentava d’intensità, anche le lucine rosse facevano altrettanto, quando le due luci gialle all’estrema destra dell’oggetto (quelle che non avevano emesso fasci) si spensero (temporaneamente) anche le lucine rosse si spensero. I piccoli dischi non si allontanarono mai dall’oggetto fusiforme se non in una occasione: al passaggio, cioè, di un aereo sulla zona. Intrapresero allora un breve inseguimento, senza peraltro avvicinarsi troppo all’apparecchio né tanto meno raggiungerlo. L’aereo non parve accorgersi di nulla. Terminata la fugace operazione, i dischi ripresero il loro monotono volteggiare intorno al fuso e continuarono a farlo per tutta la durata dell’avvistamento.

Verso le ore 3:00, i quattro testimoni principali decisero di andare verso la collina di La Cras. È molto interessante osservare che soltanto loro, della trentina di persone presenti al Cratere, si stavano interessando attivamente al fenomeno. Incredibilmente, tutti gli altri si comportarono come se nulla fosse, dimostrando ora scetticismo, ora indifferenza, se non addirittura apatia. Alcuni, trovarono nello spettacolo straordinario che si svolgeva davanti a loro, motivo di riso e di scherzo. Un tizio si rifiutò di andare alla propria tenda per prendere la macchina fotografica. Definire assurdi questi atteggiamenti è dir poco. Resta il fatto che i soli testimoni che avvertirono l’importanza e l’eccezionalità dell’evento furono i quattro studenti. Essi lasciarono dunque il Cratere e si inoltrarono giù per i campi, in direzione della collina La Cras con l’intento di verificare quel che stava succedendo. Non provavano alcuna sensazione di paura, eppure ce ne sarebbe stato il motivo. Mentre avanzavano lentamente, una moltitudine di minuscole particelle rosse apparve intorno a loro, al livello terreno. Erano in costante movimento e davano l’impressione di essere impalpabili, immateriali. Pur avanzando, i quattro giovani ne erano costantemente circondati per un raggio circa sei metri, il che li indusse a pensare che ricoprissero l’intero campo. Tantot pensò, in un primo momento, che potesse trattarsi di fosfeni, scartò questa ipotesi constatando le particelle erano visibili soltanto guardando il terreno (questo effetto, oggi, si potrebbe ottenere con un laser, ma siamo nel ’72!). Immersi in questo formicolio rosso, i testimoni camminarono per circa trecento metri, poi dovettero arrestarsi: davanti a loro si parava un’alta e folta siepe che impediva il passaggio. Vista l’impossibilità di superarla o aggirarla, decisero di tornare indietro. Fu così che, fatti pochi passi, scorsero, a circa venti metri da loro (10 m. secondo Tyrode) sulla sinistra, una “massa scura” a forma di uovo, alta sette o otto metri (5 o 6 per Tyrode), appoggiata sul terreno arato di fresco. Dietro l’oggetto compariva una piccola luce che si spostava qua e là dando pressione di una torcia elettrica tenuta in mano da qualcuno che stesse camminando. Questa fu anche la sensazione dei testimoni rimasti ad osservare dal Cratere. Fra l’oggetto e i quattro studenti, inoltre, a circa sei metri di distanza da questi, si profilava una specie di barriera lunga e scura, come una siepe, alta circa tre metri e mezzo. Lo studente di Digione propose di oltrepassare la “siepe” per avvicinarsi alla massa ovoidale, ma il recente ricordo delle difficoltà incontrate per oltrepassare l’altra siepe, lo indusse subito a rinunciare all’impresa. Gli altri non fecero obiezione.

Decisero allora di esaminare la “cosa” con le torce elettriche. E a questo punto accadde veramente l’incredibile: sotto l’azione di una qualche forza invisibile e misteriosa, il raggio delle torce, arrivato a circa 50 centimetri dalla siepe, si piegò ad angolo retto e si proiettò verso il cielo restando, nel suo tratto verticale, perfettamente cilindrico, cioè senza diffondersi più a cono come avviene normalmente. Per di più la siepe, nel punto in cui avrebbe dovuto essere colpita dal raggio luminoso, diventava invisibile, quasi che la luce creasse una sorta di schermo nebuloso. Nonostante ripetuti tentativi, la strana siepe non si fece mai illuminare. Sconcertati, ma niente affatto impauriti, i testimoni provarono l’efficienza delle loro torce proiettandone la luce dalla parte opposta: il funzionamento risultò perfettamente normale. A questo punto la reazione dei quattro studenti fu tale che riesce difficile giustificarla o comprenderla. Visti inutili i loro tentativi di illuminare quelle cose strane che stavano lì vicino, essi, semplicemente, desistettero e si rimisero a guardare l’oggetto fusiforme in cima alla collina. Nessuna curiosità, nessuna paura. È inutile dire che il mattino successivo, nel campo, non fu trovata traccia né della siepe né della massa ovoidale. Il fuso, però, era sempre immobile sulla collina, con le sue luci ed i suoi fasci proiettati verso il suolo. Ogni tanto si notava qualche variazione. Ad un certo momento, per esempio, una delle cinque luci gialle più piccole diventò temporaneamente blu. In un altro momento, al di sopra di ciascuna delle piccole luci gialle comparvero gradatamente dei cerchi bianchi e luminosi, come delle finestre rotonde in atto di materializzarsi. Rimasero ben visibili per una ventina di minuti, poi, lentamente come erano apparse, svanirono.

Verso le 4:30 lo spettacolo volse al termine. I piccoli dischi che volteggiavano come mosche intorno al grande oggetto fusiforme, rientrarono in esso dalla stessa parte da cui erano usciti. Subito, allora, tutte le luci del fuso si spensero. Ricomparvero tuttavia dopo circa mezzo minuto. Secondo il G.E.P.A. se ne riaccese una sola, sotto, dall’aspetto di un grosso “faro” giallo, simile ad un globo di fuoco, non scintillante, ma animato da temporanei aumenti di intensità e di volume che davano ai testimoni l’impressione di un avvicinamento verso di loro. Durante queste fasi di espansione veniva proiettato un fascio luminoso che, con moto circolare da destra verso sinistra, esplorava un determinato settore dell’orizzonte. Francois Tantot ebbe l’idea di azionare la torcia elettrica, accendendola e spegnendola ripetutamente. Sia stata o no una coincidenza, immediatamente il faro puntò su di loro aumentando in modo eccezionale di intensità e di volume. Un’ondata di luce accecante li investì in pieno obbligandoli a pararsi gli occhi con le braccia e inducendo in loro una forte sensazione di calore (non ci saranno tuttavia conseguenze: né bruciature della pelle, né irritazione agli occhi). Fu come un gran lampo. Subito dopo, il fascio disparve e non rimase visibile che il grosso faro giallo. Di lì a poco, una piccola luce rossa si accese all’estremità destra del fuso, il quale cominciò a muoversi, apparentemente con una certa difficoltà iniziale. I testimoni ebbero anche l’impressione che l’oggetto effettuasse una rotazione completa intorno al proprio asse verticale e ciò per il fatto che la piccola Luce rossa fu vista spostarsi verso sinistra e quindi ritornare nella sua posizione originale a destra. Infine il fuso sfrecciò via di scatto dirigendosi in direzione di Cluny e seguendo, apparentemente, una traiettoria ondulata che riproduceva l’andamento della linea delle colline. Erano le 4:40. Circa la velocità assunta dall’oggetto c’è un’altra notevole divergenza fra la versione del G.E.P.A. e quella del Tyrode. Il primo parla di circa 1000 Km/h (e nega che l’oggetto abbia accelerato); la F.S.R. (Tyrode) riferisce invece che il fuso avrebbe compiuto nove Km in tre secondi ad una velocità di ben 10.000 Km/h! Durante l’ultima fase dell’avvistamento, il fuso apparve circondato da un alone bluastro e una grossa nube dello stesso colore, vagamente luminescente, rimase sul posto dopo la sua partenza. Dalla sommità della collina, questa nube discese lentamente verso il campo dove si trovavano i quattro studenti e si dissolse solo dopo una quindicina di minuti. Stranamente, subito dopo la partenza del fuso, piovve per circa dieci minuti.

Sembra difficile giustificare il comportamento della maggioranza dei ragazzi semplicemente attribuendolo ad un diverso modo di reagire allo stimolo rappresentato dall’oggetto insolito, pur sapendo che le reazioni dei singoli a una medesima situazione variano in funzione della sensibilità, del carattere, dell’intelligenza e della cultura di ciascuno. Ma è anche vero che queste reazioni, per quanto diverse, ci sono. A Taizé, invece la maggior parte dei presenti non ha praticamente reagito. Nessuna curiosità, nessuna emozione né paura. Assoluto disinteresse. Questa indifferenza, così totale da sfiorare l’apatia, appare innaturale. È stato, in pratica, come se le persone vedessero, ma non percepissero. È lecito ipotizzare un condizionamento psicologico? Una simile ipotesi, per fantastica che possa sembrare, trova in certo modo conferma nell’atteggiamento dei testimoni principali. Essi, come abbiamo visto, percepiscono il fenomeno per quello che è: un evento fuori del normale. E dimostrano, contrariamente agli altri, un costante e attivo interesse. Ma questo interesse appare freddo, distaccato, del tutto privo di emotività. Non hanno mai paura: la loro curiosità si accompagna sempre ad uno stato d’animo assolutamente sereno. Questo strano atteggiamento trova la sua manifestazione più assurda nell’episodio della “siepe”. Né le miriadi di particelle rosse in cui si trovano immersi, né soprattutto l’irrazionale deviazione del raggio delle torce elettriche, fanno scattare minimamente il loro senso critico. Accettano il fenomeno come se fosse naturale: non cercano spiegazioni, non si pongono problemi. Tutto avviene – commentano gli inquirenti del G.E.P.A. – “come se una parte della loro coscienza fosse stata anestetizzata”. Il quadro d’insieme porterebbe a concludere che “qualcuno” o “qualcosa” ha orchestrato l’intera operazione secondo un piano rigoroso che prevedeva l’utilizzazione, in funzione di agenti “ricettori”, di persone opportunamente scelte fra molte altre destinate, viceversa, ad essere completamente escluse.

Fonte: https://francocacciapuoti.blogspot.com/2018/12/lavvistamento-di-taize.html

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